pensato parlato
Babel era sdraiato sul letto, accanto giaceva Marika, la donna che aveva conosciuto qualche mese indietro. Lei era girata dandogli le spalle e dormiva profondamente. Lui la guardò nel buio con l'occhio destro, l'unico rimastogli, che brillava come quello di un fanciullo innamorato, benché ormai avesse già passato i trent'anni. Era notte fonda e sgombera da nubi. In quel villaggio alle pendici dell'Himalaya si viveva di stenti, ma una risicata quiete lo permeava come per incanto. Da lontano giungevano notizie di barbarie e massacri, appartenenti a un mondo decaduto da cui Babel si sarebbe voluto estraniare da tempo, poiché in quel posto dimenticato da tutti aveva imparato a conoscere una cosa a lui del tutto estranea: il calore di una famiglia. Poche ore mancavano all'alba, poi avrebbe aiutato i paesani sui campi e allo scavo per il pozzo. Larghe erano le sue spalle, braccia forti ormai dedite alle faccende mondane, al duro lavoro, a guadagnarsi da vivere con la caccia, e poi al tempo perso giocare coi bambini come se fosse uno di loro, i quali avevano smesso di temerlo nonostante il terribile volto sfigurato. Babel si alzò in piedi. Era ancora a petto nudo quando si pose di fronte alla finestra della camera, sfidando il freddo di febbraio. Volse lo sguardo verso il cielo, dove una moltitudine di stelle vegliavano sulla valle sottostante, al cospetto di sua maestà la luna che dominava incontrastata in quella notte silenziosa. I monti attorno torreggiavano come silenti guardiani e un refolo di vento gelido muoveva le fronde degli alberi, portando alle orecchie l'ululato dei lupi. L'eco di ricordi di una vita passata gli solleticarono la mente ma senza rimorsi, giacché questa era la sua nuova vita, lontana dalle guerre, dal fango, dal sangue... e dagli strazianti momenti in cui aveva visto gli amici morire durante le battaglie. Incubi destinati a svanire, col tempo. Forse.
Il sibilare di una voce acuta all'improvviso gli rimbombò nella testa, ponendo fine alle sue congetture. Una voce ultraterrena che Babel non seppe definire a chi appartenesse, ma che fu capace di dominarlo. In pochi istanti la sua mente, forse non più temprata come una volta, lo indusse a prepararsi per un'ultima missione. Poche parole aveva detto quella voce prima di sparire, senza dare adito a domande. Furono parole intrise di sangue e pericoli mortali, in grado di frantumare in un solo attimo tutto il castello di illusioni che si era creato, di un futuro normale come pensava di meritare. Invece, promesse di glorie risvegliarono prepotentemente il suo antico ego guerriero mai sopito del tutto, proiettandolo ancora una volta nel calderone di una guerra incombente. Lasciò la stanza dedicando un ultimo intenso sguardo a Marika, ancora assopita e ignara di tutto, come a volerle chiedere scusa. Tante cose avrebbe voluto dirle, ma non c'era più tempo, né ci riuscì. Andò in sala, le braci del camino lo indirizzarono dove voleva. Le spostò con un semplice e deciso gesto della mano. Scoperchiò la botola nascosta sul pavimento, mentre il cuore cominciava a fremere per il riaffiorare di un'adrenalina che pensava di aver perduto. Lì, tra cenere e polvere, uno scrigno d'argento s'illuminava di bagliori quasi sinistri nel buio della stanza. Sospirò, non gli serviva altro per andare dove la voce gli aveva detto, là dove lo attendeva un imprevedibile destino. Fu proprio il camino a fungere da scorciatoia, perché da esso si animò una porta temporale, proprio come gli aveva predetto la voce misteriosa poc'anzi. Il passaggio per l'inferno... pensò tra costernazione e un'insana impazienza.
Fece per andare, ma da dietro un abbraccio amorevole lo avvinghiò. Conosceva quel tepore e quel dolce contatto sulla pelle. Marika lo stava guardando con i suoi occhi a mandorla, solo una vestaglia copriva il suo corpo sinuoso. Si scambiarono uno sguardo profondo, che valeva più di mille parole, in cui entrambi sapevano che si sarebbero lasciati in quel momento, forse per sempre. Babel non rimase deluso quando non vide lacrime nei suoi occhi, e anzi ne fu fiero. Lui non era tipo da parole sdolcinate, benché parte del suo cuore fosse già dilaniato da quella dolorosa separazione. Con enorme sorpresa fu lei ad aprire lo scrigno. L'armatura del centauro apparse in tutta la sua antica magnificenza, conquistata col sangue del nemico e il fuoco di innumerevoli scontri. Marika non sembrava esserne stupita, ma un velo di tristezza copriva il suo volto. Pezzo dopo pezzo pose le parti dell'armatura sullo statuario corpo di Babel, partendo prima dai gambali e poi a salire. Quando infine li pose l'elegante elmo sul capo, i loro occhi s'incrociarono, le loro labbra si sfiorarono. Non so dove andrai, ma torna per me... torna per noi disse toccandosi il grembo. Furono queste le ultime parole che Babel udì, prima di varcare la soglia con la sua antica armatura, senza più voltarsi indietro.
E infine accadde... il tepore di casa e di quell'abbraccio da cui non voleva staccarsi svanì in un battito di ciglia, così come il portale alle sue spalle da dove era venuto, strappandolo dal calore di una famiglia ritrovata per gettarlo in un luogo oscuro. Ora un regno d'ombra lo circondava, e un freddo sovrannaturale che era certo non appartenesse al mondo dei mortali s'insinuava tra le scaglie delle sacre vestigia. Era ignaro del posto in cui si trovava, una sorta di tempio in rovina, perché di esso rimanevano colonne in frantumi e fenditure sul pavimento. Le mura erano crepate, ma nonostante la penombra dominante, l'unico occhio di Babel potè notare misteriosi geroglifici scolpiti che non fu in grado di tradurre. Una strana sensazione gli diceva di essere atteso ma non ben voluto, special modo quando dall'esterno della arcaica struttura gli parve di udire l'eco di un latrato selvaggio e di urla strazianti. Lo smarrimento iniziale scemò lentamente al salire della tensione, come ogniqualvolta avvertiva una minaccia, e a quel punto Babel fu certo che se avesse avuto uno specchio davanti, avrebbe rivisto ricomparire sul suo viso quel dannato ghigno beffardo, tipico di chi è sprezzante del pericolo. Marika e ogni progetto di una vita normale erano già un lontano ricordo non appena gli schinieri d'argento tintinnarono sull'imminente campo di battaglia. Appoggiò perentorio un piede sul pezzo di una colonna in macerie e non passò molto tempo prima che il suo sguardo trafisse la penombra per scorgere una figura avvicinarsi. L'istinto gli suggeriva che poteva essere un avversario, forse il suo ultimo. Alzò il capo in cerca della stella della morte e della sua costellazione guida, ma la volta del tempio glielo impedì, lasciando intravedere solo squarci di un cielo infuocato che annichilì ogni sua pretesa. Si domandò se era valsa la pena varcare quel portale e quale follia lo avesse indotto a seguire quella voce martellante, eppure non fu capace di odiarla del tutto, poiché un conflitto divampava nel suo animo: da una parte ripudiava se stesso per la scelta appena compiuta, l'altra fremeva per il ritorno del signore delle fiamme.
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